sabato 26 gennaio 2013

And the end comes too soon. Like dreaming of angels


In vita mia ho imparato ad amare tante, tantissime canzoni.
Per la melodia, le parole, i concetti, l'atmosfera che queste mi portavano e suggerivano.
Una volta che le scoprivo in qualche modo, le facevo mie, le coltivavo, le ascoltavano più volte e in vari momenti.
Ma a memoria, mai mi era capitato di incoccare per caso in un pezzo di un gruppo di cui non avevo mai sentito parlare, di ascoltarlo, di innamorarmene follemente e di riascoltarlo in loop per due ore in uno svogliato venerdì sera.
E' successo ieri sera, appunto, con "Angels", canzone che apre l'album "Coexist" del gruppo The xx. L'album è uscito nella seconda metà del 2012.
E' una canzone che nemmeno afferisce direttamente allo stile che attualmente (ma neanche in passato, a dirla tutta) ascolto e fruisco con interesse. Un pezzo che procede per sottrazione, dove gli strumenti sono pochi, essenziali, assolutamente non invadenti ma con la funzione di fare da tappeto di lusso per la voce della cantante, e per le bellissime parole.
Non credo di aver mai incontrato una canzone che mi facesse venire voglia di innamorarmi, che mi facesse desiderare di amare una ragazza in modo così intenso, dolce e passionale allo stesso tempo, una ragazza a cui dedicare questa canzone, sia letteralmente che nella vita di tutti i giorni.
La voce della cantante e l'atmosfera si fondono per incantare l'ascoltatore, per avvinghiarlo nelle spire della poesia e della malinconia, e per fargli desiderare con tutto se stesso di abbracciare la propria metà del cielo, o perlomeno desiderare di incontrarla al più presto per stupirsi di come respiri facendolo sembrare facile.

domenica 13 gennaio 2013

Il Libro dei Demoni



Di Massimiliano Grecchi avevo avuto già modo di parlare in occasione del suo primo libro, La Piaga.
Dopo alcuni mesi il mio amico Max ha avuto l'occasione di vedere pubblicato un altro suo lavoro, stavolta una raccolta di racconti e con un'altra casa editrice, la Società Editrice MonteCovello.
Ovviamente stiamo sempre parlando di realtà editoriali molto piccole, ma è abbastanza chiaro che al giorno d'oggi sono le uniche che possano offrire un minimo di visibilità e la pubblicazione cartacea ad autori emergenti. E di questo va reso loro atto. Anche nell'epoca in cui chiunque può farsi conoscere tramite internet, l'importanza che - nel nostro Paese e non solo - viene attribuita all'arrivare a pubblicare su carta rimane ancora vitale.

Una raccolta di racconti, dicevo. 6 piccole storie, di cui la prima è quella più lunga, precedute da una breve introduzione dell'autore stesso, dove a farla da padroni sono gli orrori. E ricordando il genere narrativo e l'atmosfera del primo romanzo, potrebbe anche risultare pleonastico sottolineare questo elemento. Ma in quest'occasione, in modo maggiore rispetto a [i]La Piaga[/i], Max riesce a mettere su carta quegli orrori del quotidiano, quelli che albergano in ognuno di noi, quelli che rappresentano il lato oscuro del nostro animo. In La Piaga gli zombie potevano anche rappresentare la stessa cosa, per certi versi, come conseguenza indiretta della direzione depravata presa dall'umanità, ma lì Max era maggiormente vincolato alla trama che tributava giustamente pagine ed emozioni alle atmosfere post-apocalittiche che la storia reclamava.
La struttura del racconto breve favorisce invece maggiormente un'esplorazione da incubo nei recessi più malati e inquietanti dell'essere umano, riuscendo a fornire un campionario assolutamente peculiare di varia umanità, dipingendone sensazioni e scelte di vita. Forse proprio per questo Il Dì di Festa risulta essere per quanto mi riguarda il racconto meno riuscito della raccolta, essendo il più articolato, il più simile come struttura e come temi a La Piaga, così che la parte critica affoga nella narrazione decisamente horror-fantasy.
Resta comunque una buona prova, per quanto inferiore agli altri racconti, che partono da situazioni piuttosto normali, per quanto a volte già borderline (un serial killer, un assassino, dei topi d'appartamento...) per poi svolgere la storia in uno strapiombo di terrore e buio, una voragine alla fine della quale ognuno può trovare una riflessione sul fatto che il Male può annidarsi in chiunque.
Paradossalmente il libro mantiene nei finali dei racconti quasi sempre una nota di speranza: i protagonisti, negativi e terribili, spesso ricevono una punizione durante la narrazione, e questo offre quasi un sollievo alle persone che rifiutano la parte malata di loro stessi per seguire la via del vivere civile. Una nota di speranza che non mi aspettavo di trovare in questo libro, che lo rende così in equilibrio tra tenebre e luce, tra dannazione e speranza. Un mix che lascia il lettore inquieto e disorientato, che è forse uno dei pregi maggiori dell'opera nel suo complesso.
Lo stile di scrittura trovo che si attesti su quello già buono mostrato nel primo romanzo, anche considerando che questi racconti sono stati scritti in periodi diversi, quindi probabilmente ci sono racconti scritti sia prima che dopo La Piaga. Non è sicuramente esente da pecche, come una a volte eccessiva ricercatezza nel linguaggio quando non sarebbe strettamente necessario, o come una certa ingessatura nei dialoghi tra i personaggi che non sempre riesce a riprodurre in maniere convincente il parlato delle persone reali. Ma sono difetti in fondo tipici di qualunque scrittore emergente, che diminuiranno con il crescere dell'esperienza di scrittura inserita nell'ottica della pubblicazione.

A chi ama il genere horror, a chi ama le atmosfere gotiche e a chi apprezza la possibilità di riflettere alla fine delle proprie letture, consiglio quindi questo secondo libro del mio amico Max.
Questa la sua pagina Facebook.
In questa sezione del suo blog trovate tutte le info necessarie per poter acquistare online Il Libro dei Demoni. Ad ogni modo, vi riporto anche qui sotto i dati tecnici del libro:

Il Libro dei Demoni
Massimiliano Grecchi
Società Editrice MonteCovello
140 pagine, brossura, formato A5 – 13 €
ISBN: 978-88-6733-022-5

sabato 12 gennaio 2013

Servizio... pubblico?

Al di là della presunta rilevanza politica che poteva avere la presenza di Silvio Berlusconi nel programma di Michele Santoro Servizio Pubblico, il motivo per cui giovedì sera sono rimasto davanti al televisore a vedere La7 invece che leggere, guardare serie tv o girare per i forum di internet era la possibilità di osservare una lezione di comunicazione, che fa sempre bene.
Osservare innanzitutto il modo in cui il conduttore ha impostato la trasmissione, la scaletta, le presunte "regole" che si è dato con l'ospite e l'atteggiamento con cui si è posto verso di esso è attività utile per capire un po' come viene studiato e preparato un evento mediatico come questo.
D'altro canto, anche vedere un maestro dell'intrattenimento, dell'affabulazione e dello spettacolo come il Berlusconi-showman non manca di dare numerosi elementi degni di riflessione su come può venire veicolato un messaggio.
Perché le maniere cortesi di Santoro, il solito sorrisone di Berlusconi, i monologhi di Travaglio e la perdita di calma dell'uno e dell'altro (non di Travaglio che mantiene sempre una calma serafica) mi hanno fatto capire perfettamente che l'intento del programma non era quello di rendere nudo il re, non era quello di scoperchiare chissà quale vaso di Pandora, e non era nemmeno quello dire qualcosa di nuovo.
Certo, tra un confronto televisivo del genere e precedenti incursioni del Cavaliere in televisione (citare Barbara D'Urso è come sparare sulla Croce Rossa) c'è un abisso, qui si sono comunque snocciolati dati e situazioni che di certo al leader del Centro Destra non hanno fatto piacere, ma se l'impressione verso mezzanotte era che Santoro e Travaglio potessero fare di più c'è qualcosa che non torna.
Bello vedere Santoro gridare in faccia a Berlusconi, da brividi la chiosa finale del secondo monologo di Travaglio, ma la sensazione finale era che fosse tutto a uso e consumo dello spettacolo. Che i due leader del programma credano o meno a tutto quello che professano, quello messo in mostra poco più di 24 ore fa sembra essere più che altro la voglia di fare share.
Attenzione, non ad arte: i momenti "improvvisati", quelli in cui la trasmissione sembrava più "vera" non sono mancati, ma l'impalcatura generale era quella dell'evento mediatico, appunto: non c'era vera rilevanza politica in quello che è stato detto, da ambo le parti, c'era la voglia di mettere faccia a faccia Berlusconi con due dei suoi maggiori avverasi non politici. Il pubblico che ha dato alla puntata gli ascolti che di solito raggiungono solo la finale dei Mondiali di calcio o del Festival di San Remo l'ha fatto perché voleva vedere il match, voleva divertirsi, voleva vedere le schermaglie tra i vecchi pugili, che hanno reagito esattamente a queste istanze, sia nella scaletta che nelle improvvisazioni.

E allora capisci che non c'è Santoro o La7 che tengano: la tv è tutta show, anche quando pretende di trattare  argomenti importanti, anche quando vorrebbe essere un servizio pubblico fin dal titolo.
Tutto è spettacolo, tutto è rappresentazione della realtà ma mai la realtà vera.
I due interpreti principali in scena giovedì sera lo sanno bene, e hanno reso servizio privato a loro stessi.

martedì 8 gennaio 2013

Nel giardino dei fantasmi

Io i Tre Allegri Ragazzi Morti li avevo sentiti dal vivo, conoscendo solo poche canzoni ascoltate per caso e distrattamente da You Tube, circa un anno e mezzo fa, in occasione della Festa del PD a Lodi dell'estate 2011.
E mi erano piaciuti, molto, pur presentandosi con uno stile musicale un po' differente da quello dei pezzi che conoscevo: non particolarmente rock o punk-rock, ma con suoni quasi più esotici, particolari, derivati dalla "svolta" del loro lavoro più recente, "Primitivi del Futuro", che nel suonare i vecchi cavalli di battaglia si fondeva comunque con un mood rockeggiante dal risultato decisamente interessante. Ricordo che saltai come se non ci fosse un domani in quel concerto, e mi divertii, e come mi riprometto sempre dopo un concerto di una band che non conosco, ero pronto a recuperarmi i lavori passati del gruppo. Poi, per varie ragioni, tra impegni e cose varie mi persi via e non approfondii mai i lavori dei TARM. Non ho nemmeno recuperato i fumetti di Davide Toffolo, frontman del gruppo e acclamato fumettista, per quanto ne fossi attratto.
Poi capita che poche settimane fa i Tre Allegri Ragazzi Morti pubblicano un nuovo disco, "Nel Giardino dei Fantasmi", e io senza pensarci troppo negli scorsi giorni me lo recupero e lo ascolto.
Paura.
In un colpo solo mi svesto della patina da "poser-rock" che apprezza i bei testi profondi e impegnati solo se accompagnati da una robusta batteria e dalla chitarra elettrica, e mi faccio condurre per mano da Toffolo in questo giardino inquietante, malinconico, riflessivo, che guarda benevolo e triste verso il passato e spaventato e arrabbiato verso il futuro. Un giardino in cui ogni traccia di parla di qualcuno, qualcosa, qualche sentimento... ogni pezzo dice qualcosa di importante e lo fa con uno stile assolutamente particolare, che fonde funky con raggae e venature rock che vanno a formare una musica molto originale e piacevole.

I fantasmi che i le canzoni (testi + musica) ti lasciano dentro difficilmente se ne vanno via, spesso restano appiccicati dentro fin dal primo ascolto e te li porti dietro nel subconscio tutta la notte, per poi alzarti al mattino e ritrovarti a canticchiarli in bagno.
Esorcizzare una perdita, una vita stroncata nell'adolescenza, storie di ordinaria crudeltà, suggestioni di dolce tristezza... queste e tante altre sono le sensazioni che il disco trasmette, una stoccata inaspettata che dimostra quanto la band abbia da dire sul piano umano e artistico, e che il plauso di pubblico e critica (perlomeno undeground) con cui è stato accolto questo nuovo lavoro sia pienamente meritato.
Chi conosce la mia passione per i Velvet sa che sono tra i maggiori sostenitori del fatto che il maggiore atto di coraggio di una band è quello di cambiare genere sull'onda del proprio sentire e sentore. I TARM l'hanno fatto, e da 2 dischi sono premiati per la loro onestà intellettuale e le loro limpide qualità artistiche e di cantastorie.

Piume al vento

"Piume al vento" sono le mie incursioni sul mio sventurato blog.
"Piume al vento" sono una metafora della volatilità del mio scrivere qua sopra.
"Piume al vento" sono una chiave di lettura di me, ora.

Non ho ancora capito perché ci sono delle volte che passano mesi di buio in cui non scrivo assolutamente nulla sul mio blogherello, lo abbandono, nonostante i "rimproveri" degli amici lo trascuro e poi... poi, all'improvviso, mi riprende la voglia e ritorno.
Fosse un rapporto sentimentale, sarei il peggiore degli stronzi.
Ad ogni modo... non lo è, insomma! :P Quindi che si tratti di pigrizia, menefreghismo, scarsità di tempo o altro, penso e temo che continuerò a fare così. E osservando le esperienze passate, è pure probabile che nel prossimo periodo scriva anche più o meno frequentemente. Potrei addirittura fingere che non sia morta nel dolore la rubrica dei Trenalieni :P (che poi, visto quel che ha combinato Trenord nelle 2 settimane prima di Natale, direi che devo impegnarmi molto per inventarmi qualcosa di peggiore...)

Anyway... voi che mi leggete siete tipi svegli, e vi sarete accorti che è cominciato l'anno nuovo già da una settimana! Gli indizi erano chiari quando avete stappato lo spumante con gli amici e gridato auguri :) Io penso di essermene reso pienamente conto, dell'ingresso nel 2013, solo verso il mezzogiorno del 1° gennaio, durante la nottata la mente non era abbastanza lucida.
Piuma al vento, appunto.
E piuma al vento temo sarà un po' tutto questo mese di gennaio. Già di suo il primo mese dell'anno ha dalla sua quella malinconia da fine e inizio insieme che lascia atterriti, confusi, sperduti. Nella mia situazione, poi, in cui mi ritrovo a dover cercare un nuovo lavoro e quindi ad essere "senza certezze", penso che sia il primo anno in cui gennaio assume dei contorni nebbiosi veramente marcati. La nebbia che vedo fuori dalla mia finestra sembra il riflesso della mia.
Non che le cose da fare mi manchino: ho così tanti libri e fumetti da leggere, film, serie tv e dvd da vedere, e cose da scrivere per i vari forum e siti che bazzico. Ho persone da vedere, cose da fare che tempo di annoiarmi non ne ho e se mi pagassero per tutto questo sarei a posto.
Ma non mi pagano per questo. E devo quindi cercare, inviare, sperare. E dopo la pausa natalizia da tale tran-tran, è il caso ora di rimettersi di buzzo buono a curare la questione.

Piume al vento, insomma. Piume al vento i consigli di amici che ne sanno più di me ma che non ascolto, piume al vento la possibilità di sfruttare questo tempo libero forzato per recuperare un po' di letture, visioni e progetti scritti... ma non riuscire a fare niente ordinatamente, perdendo tempo.

Piume al vento nelle nebbia, fatta di incertezze, svagatezza e nuvolette.